GLI ARTISTI

A tu per tu con gli autori del Diecizero

Abbiamo intervistato gli artisti Antonello Serra & Sara Renzetti che all’età di ventisette anni hanno deciso di costruire a Barumini un luogo di rara quanto eccezionale espressione artistica.
Vediamoli più da vicino.
sara e ru con capello gli artisti

Intervista agli autori del Diecizero

a cura di I.Memy

L’idea di creare delle installazioni d’arte, all’interno di un luogo non propriamente consono ad accogliere opere d’arte, come può essere un hotel, è stata per noi la prima scintilla.
Realizzarlo in un paese come Barumini, con una storia archeologica così importante, ci ha subito convinti del fatto che andavamo incontro a qualcosa di difficile e di rara lettura interpretativa. Volevamo essere indiscreti e indisciplinati nell’esprimere ciò che solitamente si trova e ci si aspetta in città. Là dove era possibile saremo arrivati senza nessuna aspettativa, creando finalmente e con fierezza una cattedrale nel deserto: l’unico ecosistema in grado di accogliere o meglio di raccogliere il nuovo che avanza.

Esatto. La collocazione geografica è parte dell’opera. Probabilmente non avremmo mai realizzato il Diecizero in un posto “adatto” ad accogliere un’opera d’arte contemporanea: sia esso un museo, sia esso un hotel d’arte ben confezionato a Berlino o a Dubai.
Nell’operazione che abbiamo fatto al Diecizero, il luogo fisico – in cui l’opera ha deciso di trovarsi – è parte integrante della sua lettura, appartiene alla sua costituzione, alla sua mappa, alla sua scrittura. É l’opera stessa!
Barumini per noi è stato questo: la possibilità di uscire dal servito dell’arte e dall’ordinario della città.
Avevamo profondamente la necessità di portare il soffio dell’arte oltre i contesti strettamente museali; fuori dalla consuetudine dei salotti artistici e dalla protezione istituzionale, quanto culturale, che tale ambiente può generare.
Tutto sommato volevamo per davvero sentirci scoperti, fuori dal contesto e pronti ad essere esclusi se necessario. Solo l’arte era in grado di negoziare questa posizione, e solo il tempo, come diceva Sant’Agostino, può permettere che le cose accadano. Un tempo, quello del Diecizero, che nonostante i suoi quindici anni, è ancora profondamente e intensamente all’attivo, dato che, tutt’ora, non ha ricevuto alcun sostegno o quasi dal mondo dalla cultura.
Siamo in piena e desiderata coerenza con l’essere, di fatto, in periferia; e facciamo davvero poco o nulla per cambiare questa posizione, pensando che forse non sia necessario che le cose si trasformino da piccole a grandi, da sconosciute a celebri, da arte per noi ad arte per tutti.
Probabilmente non volevamo che questo desiderio facesse parte dell’innesto capitalistico, di capitalizzare, di far accrescere il proprio potere, lasciamo che le cose fatte siano libere dal nostro desiderio di vita eterna.

Abbiamo cercato fin dal principio di tenere duro sulle linee guida che ci hanno spinti sino a qui, preferendo la meraviglia e lo spaesamento del pubblico piuttosto che la ricerca di un luogo insolito e strano da visitare a Barumini. Non abbiamo fatto pubblicità, né tanto meno innescato pubbliche relazioni e patnership.
Dal 2005 al 2008 non abbiamo voluto nemmeno un sito internet per evitare che l’ospite fosse preparato ad un ambiente così estremo.
Volevamo innescare, nelle persone che arrivavano a Barumini per cercare alloggio, la volontà dell’arte, ovvero la capacità di ritrovarsi nuovi e quindi totalmente smarriti e disorientati, alla scoperta di qualcosa di completamente avulso.
Prestando fede al fatto che ciò che è unico e casuale non può essere previsto!

L’importanza storica di un paese come Barumini ha maggiormente consolidato la nostra posizione, offrendoci la possibilità di mettere in dialogo il passato con il contemporaneo. In questo non ci siamo inventati nulla di nuovo dato che tutte le grandi istituzioni museali, nazionali ed internazionali, l’hanno oramai sdoganato da tempo, forti dell’idea che se non si comprende l’uno mancherà sempre qualcosa anche all’altro.
Non c’è antico che non sia stato contemporaneo e non c’è contemporaneo senza il mondo antico.
Scoprire poi che la struttura ospitava un cinema negli anni ’70, ci ha definitivamente consacrato. Quasi ci sembrava di rianimare l’immagine fotosensibile in scenografie che vedono l’architettura scenica condurre la macchina da presa.

L’abbiamo pensato in relazione a quello che ci siamo trovati davanti. Siamo stati chiamati una volta che gli spazi erano già stati definiti: le stanze delimitate, i pavimenti in cotto posati, i bagni completi di sanitari e mattonelle, aria condizionata pronta all’uso, gli infissi a chiudere lo spazio tra dentro e fuori, il tutto gestito da un gusto abbastanza distante dal nostro.
Siamo stati costretti ad adattarci alle periferiche della messa in opera precedente, intervenendo – dove la necessità in virtù era perentoria – in modo netto sulla pavimentazione e sulle pareti, tralasciando invece alcune zone come i bagni, le camere standard e tutta la facciata esterna, nella situazione precedente il nostro arrivo.
Per quanto riguarda il progetto delle zone comuni, abbiamo sfruttato una piccola differenza di quota del piano di calpestio, che idealmente divide in due l’ambiente interno, separando la zona riservata alle 4 camere d’arte da quella riservata alle camere standard: così dalla hall d’ingresso si accede ad un lungo corridoio che collega le due diverse zone.
Questa discordanza, tra le camere standard e le camere d’arte, nasce dalla volontà di mostrare al fruitore l’enorme controversia che intercorre tra un’opera e l’arredo, tra una stanza d’albergo e un’installazione, tra un hotel e un hotel d’arte, tra l’arte e le cose.
Il riverbero continuo delle quattro installazioni, quasi forzato per chi non ci dorme, si anima nel varco, colmo di luci, concetti, scritti fotografici delle opere negate, simile ad una penitenza che sfocia in senso di colpa.
Infatti oltre alle camere d’arte dal nome prospero: VHS, BAMBOLE, PH, OBSCURA, l’albergo comprende tutto un percorso esterno che suona bene l’opera continua: la hall e il corridoio sottoposti al guardo comune esaltano le infinite suggestioni che si trasfigurano al mezzo. E allora ecco lo smarrimento che si ha una volta aperte le porte dell’albergo: installazioni d’arte contemporanea, un viaggio totale nel denutrito mondo dell’architettura e della poesia, un crocevia d’illusioni estreme, voltaggio d’immagini e suoni che travisano il tempo della mostra, appagando così il lento decorso del viaggiatore insonne.
Illuminazioni parafrasate da parole lacerate dal senso, scatti fotografici conducono l’orgoglio visivo alla deformazione artistica che traballa compiaciuta da giganti sculture capaci di accogliere l’illusione onirica.

Le quattro camere con installazioni servono il nome che recitano sulla porta d’ingresso.
Ogni camera è un tormento, un’invenzione senza mestiere, un profumo proprio che traduce nell’oblioso domani l’assenza astuta delle sensazioni.
Premetto che il nostro modo di parlare dell’arte non è esplicativo ma sinceramente evocativo, convinti del fatto che l’arte non vada spiegata o chiarita, sempre, bensì lasciata agire -in senso etimologico- in quelle zone franche, inesplorate e simboliche che abitano il nostro mondo.
Per questo motivo le parole dell’arte dovrebbero essere più fedeli all’arte in sé, senza per forza essere comprese dalla lettura, tanto meno dalla prima lettura.
Finita la premessa, si sarà già assodato che questo è il nostro modo di parlarne.
La camera VHS: è diretta dalla proiezione audio visiva chiarificatrice della follia schizofrenica traviata da poesia sonora; riflessione patologica della prospettiva spazio-architettonica . Il proprio cranio offre sinceri diaframmi dell’osceno.
La camera delle BAMBOLE: presenza morbidamente plastica, il viola-rosa dirige la curva fotografica, luci e fisionomie scultoree trafiggono i colori stravolti dall’esperienza dell’infanzia … Il suono di chi non sa parlare!
La camera PH: concetti fotografici e sonori concordano in una metamorfosi epidermico-carnale, volatile umana di mura rimbalzanti mute architettoniche. Ferite e feritoie dell’indecente venir meno erotico stridulano alla verticalità genetica beccata dallo scettro.
La camera OBSCURA: in luce fotografica… profonda pulizia nell’abbraccio stenopeico, motore immobile della ludica voce solare che attende dall’onirico l’alba della stampa.
L’esperienza è stata interessantissima, noi poi abbiamo vissuto da vicino la reazione del pubblico, occupandoci, parallelamente alla nostra ricerca artistica, della direzione del Diecizero.
Abbiamo fatto diverse scoperte sociologiche, come il fatto che il pubblico si trova davvero spaesato e incredulo, ma ha difficoltà a cogliere l’esperienza dell’arte fuori posto, ricercando maggiormente le amenities alberghiere piuttosto che le sensazioni che genera un contatto così ravvicinato con l’opera d’arte.
Continuiamo ad assistere alla maggior parte delle recensioni in cui viene scritto che la stanza è calda, che la posizione è ottima per visitare i siti archeologici, che hanno mangiato benissimo al ristorante consigliato dall’hotel, ma non scrivono niente, o quasi, del fatto che hanno dormito per la prima volta all’interno di una camera rossa dalle pareti che inneggiano alla carne, che hanno ascoltato l’audio che kafkianamente canta la metamorfosi; non scrivono di aver visto sotto sopra il paese dentro la camera obscura, di aver sentito le urla della mente nella vhs o la luce dell’infanzia nella camera bambole.
E’ chiaro che non è facile capire e cogliere questo, tanto meno quando non sei preparato; e nonostante ora siamo presenti su tutte le piattaforme di prenotazione online, una volta arrivati in hotel i clienti non si aspettano così tanta presenza artistica, ipotizzando maggiormente che si tratti di arredo e di design, di estetica dell’accoglienza. Infatti, arrivati qui, da subito percepiscono che qualcosa di più forte li sta richiamando ad una attenzione più profonda, e non tutti vogliono essere chiamati a riflettere e ad ascoltare, tanto meno quando questo ascolto e riflessione non era preventivato e potrebbe così compromettere il ristoro notturno.
Insomma, per concludere crediamo di aver davvero fatto qualcosa d’importante, soprattutto, considerando l’esperienza delle persone, abbiamo capito di aver fatto anche di più rispetto a quello che avevamo in mente.
Assolutamente no.
Tutto sembra chiaro adesso, ma molto è ancora da chiarire.
Noi abbiamo seguito l’intuito senza troppi ragionamenti, ci siamo affidati a quelle idee che erano già consolidate dentro di noi, ma non sapevamo nulla di tutte queste parole e concetti che possiamo esprimere solo ora.
E’ come quando pensi alla montagna: vuoi salirci sopra e cercare di raggiungere la cima, ma è solo scendendo a valle che la montagna diventa tale: quel disegno dai vertici appuntiti che accoglie il tramonto e a cui è dato misurarsi con le vette del cielo.